Che fine ha fatto la Moka, orgoglio italiano? La conosciamo veramente?

La storia di un mito lungo 85 anni

Dal 1933 ne è passato di Caffè dentro le creature di Alfonso Bialetti, dei modelli originali e delle innumerevoli varianti e copie, realizzate un po’ in tutto il mondo, non appena si è diffuso il suo successo oltre i confini nazionali.

Ispirandosi alle lisciviatrici per fare il bucato in uso a quel tempo, Bialetti sfruttò questo principio come esperimento, poi riuscito, per tentare di ottenere il Caffè domesticamente senza possedere uno strumento professionale, anzi piuttosto economico e pratico, che sfruttasse il calore delle cucine. Erano anche altri anni, va ricordato.

Dopo il boom degli anni ’60 e ’70, complice Carosello, la Moka ha iniziato un declino lento. Fu affiancata dapprima dalle macchine espresso di dimensioni casalinghe, dal costo alto ma non proibitivo, per avere “la schiumina”, come tanti blasfemi definiscono la crema, in tazzina. Ma tutto sommato ci ha convissuto piuttosto serenamente. Il problema sono questi ultimi anni… Lo avete capito, vero, a cosa mi riferisco?

A cialde e capsule…

Ma ne parliamo un’altra volta.

 

Ora mi piace dire di Lei, la Signora Moka

Chi non è proprio adolescente, ma ha compiuto almeno i venticinque anni, non può non ricordare i genitori o i nonni mentre preparavano la Moka in cucina, e il profumo che ne scaturiva, inebriando le narici, e significando una piacevole certezza: se era preparato bene, il Caffè era quel piacere che ogni italiano meritava. E tutt’ora merita.

Merita che il suo palato sia gratificato da sapori piacevoli, non venga turbato lo stomaco od altro organo del corpo. Insomma, una vera ondata di benessere.

Si pubblicizzavano prodotti industriali anche con piccoli tutorial improvvisati, qualche anno più addietro, come quello in cui un tizio, dopo aver livellato bene la polvere nel filtro, ci praticava tre fori a triangolo fra loro, servendosi di uno stuzzicadenti. Mah…

La conobbi a sei, sette anni. Me ne innamorai subito. Spigolosa nella sua linea, ma simpatica al tempo stesso. Credo di averne fatti anch’io, dei fori con lo stuzzicadenti, nel Caffè, prima di chiudere la caldaia…

Per quanto il suo utilizzo sia un po’ meno frequente, considerando il mercato domestico del Caffè, posso per esperienza diretta rassicurare i suoi estimatori che non scomparirà di certo. Innanzitutto perché rimane un sistema economico per prepararsi il Caffè in casa, ma talora anche in ufficio. Non dimentichiamo che molti locali dal numero ridotto di coperti la utilizzano tutt’ora. Fa “casalingo”, oppure anticonformista, a seconda della situazione e dell’ambientazione. In ogni caso dà calore alla tavola, e non è cosa da poco.

Dalli all’untore

Sono sorte, tra le altre cause di abbandono, almeno della Moka in alluminio, voci allarmanti sulla possibilità di contrarre l’Alzheimer se si ingeriscono sali di alluminio, o sue particelle, derivanti dalle reazioni chimiche e termiche tra gli alimenti ed i vari oggetti e strumenti in cui li prepariamo e conserviamo. Cosa c’è di più nocivo di una caffettiera completamente in alluminio?

E’ possibile, non sono uno scienziato né un chimico, ma ultimamente si creano allarmismi non soltanto per eccessivo zelo, ma anche per altre ragioni. Quella che vi invito a leggere, e che non riguarda soltanto la Moka, la trovate qui

In ogni caso, se vi fossero motivazioni effettive ed allarmanti, credo che tutto il pentolame di alluminio, i fogli di pellicola per alimenti e compagnia bella sarebbero stati ritirati da tempo dal commercio.  Se proprio non volete una Moka in alluminio, potete sempre acquistarla d’acciaio inox. E’ pratica da pulire, non trattiene particolari residui, e  generalmente dura a lungo prima della sostituzione. Differenze a parte questo? Forse si riesce a sentire meglio il sapore di ogni Caffè che si utilizza, in quanto l’alluminio, essendo più poroso, trattiene anche qualche residuo del Caffè precedente, falsando quelli successivi. Con l’acciaio il problema è pressoché inesistente. Naturalmente sto riferendomi a degustazioni di Specialty Coffee, o Caffè artigianali dai sentori molto differenti.

Ho un cliente che ha un’enoteca con cucina a Bologna, ed utilizza le caffettiere che venivano prodotte a Ferrara fino al 2012, realizzate in acciaio inox. Propone una carta di tre Caffè, con l’offerta ormai consolidata di una Miscela di Arabica, ma gli altri due sono in genere decisamente diversi. Si passa da un Etiopia Yirgacheffe ad un Cuba Serrano, Caffè agli opposti del gusto, di cui si riescono a percepire le note aromatiche grazie alla meticolosa pulizia che viene fatta alle Moke dopo ogni utilizzo.

La Moka si lava!

Approfitto dell’aneddoto appena scritto per sfatare un mito: la Moka non si lava… Ma chi l’ha detto? Zio Peppino il camionista? Il Cuggino Gegè risuolatore di scarpe? Un conto è la diceria popolare, un altro è la competenza in una materia, che porta ai risultati migliori, e va condivisa.

Non conosco nessuno che prepara da mangiare nella stessa pentola senza lavarla per un paio di mesi… Così è la Moka. Va rispettata.

Occorre pulirla sempre, ogni volta che la si utilizza, con una spugna non abrasiva e qualche goccia di detersivo. Non ne serve tanto, ma bisogna togliere la parte grassa del Caffè, che altrimenti irrancidisce a contatto con l’ossigeno. Altro che gusto sublime.

Il mio contributo alla preparazione del Caffè con la Moka

Sto pubblicando sulla pagina Facebook della Torrefazione alcune strisce a fumetti, opera di Marta Besantini, che illustrano le regole per prepararlo al meglio. Presto le raggrupperò anche qui sul sito, e ve ne faccio omaggio affinché possiate provare anche voi, e vedere se le seguite tutte, o meno. Credo che una disaffezione alla Moka possa anche essere derivata da non sapere, e quindi non applicare, semplici accorgimenti che fanno la differenza.

Ne riparleremo presto. Se avete domande, nel frattempo, chiedete.

 

 

 

 

 

 

 

 

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